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Le radici della festa di Halloween nel folklore delle terre frentane e abruzzesi

Le sorprese di una festa più antica e nostrana di quello che si pensi

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LANCIANO - Ogni anno con l’avvicinarsi della fine del mese d’ottobre si torna a parlare della festa di Halloween: ovunque appaiono infatti bambini mascherati, si organizzano serate a tema e nei cinema è tutto un susseguirsi di film horror legati a quella che secondo molti è soltanto “un’inutile moda importata in Italia dagli Stati Uniti”. I detrattori di Halloween (Chiesa in primis) parlano sempre più di colonizzazione culturale, demonizzando questa ricorrenza e mettendoci in guardia da un' usanza secondo molti estranea alle nostre tradizioni.

In realtà, chiunque voglia porsi con spirito critico e sete di conoscenza, nello studio di questa antichissima festività legata al Samahin, il capodanno celtico, scoprirà quasi subito che non si tratta affatto di una moda importata dall’America e che anche le tradizioni ed il folklore delle terre frentane ed abruzzesi pullulano di racconti ed usi legati “ai giorni in cui i morti ritornano”. Il nome Halloween deriva dalla forma contratta inglese All Hallows Eve ovvero la vigilia di Ognissanti ed è proprio nei giorni che vanno dalla vigilia di Ognissanti cioè dal 31 ottobre, al giorno di San Martino l’11 novembre, che sono da tempi antichissimi presenti tutti gli elementi costitutivi dell’attuale festa di Halloween basata sulla celebrazione di un importante spartiacque calendariale legato al lavoro nei campi e aperto al particolare ritorno dei morti.

Anche a Lanciano, vi erano riti ed usanze legati a questo particolare periodo dell’anno. Mio padre Angelo ricorda ancora con simpatia e un po’ di nostalgia quei giorni: “I preparativi per questa festa cominciavano verso la fine di ottobre quando per procurarci delle brocche in terracotta ci rivolgevamo ad un vecchio amico di famiglia che aveva la sua bottega dietro via Piave: questo signore ci regalava sempre qualche brocca un po’ quarchiata (ammaccata) che noi lavoravamo a mò di zucca, ricavandovi con un seghetto viso, bocca ed occhi  collocandovi all’interno dei vecchi mozziconi di candela che ogni anni ci donava la signora Mariannina, padrona delle vecchia Libreria Cattolica di corso Roma. Una volta sistemata la lanterna ci spostavamo sotto gli archi del Ponte Diocleziano dove raccoglievamo le canne più lunghe e resistenti da utilizzare insieme a della carta velina come cero funebre. Sistemati con debito anticipo i preparativi arrivavano per i ragazzi le sere tra il 31 ottobre e il 2 novembre: “In quei giorni racconta Angelo “chi poteva si muniva di vecchi mantelli e lenzuola bucate e con le brocche illuminate e i ceri ricavati dalle canne s’iniziava l’usuale percorso lungo i vicoli spesso bui e nebbiosi di Lancianovecchia. Il giro iniziava dallo scalone di via degli Agorai e spesso ci si sistemava in più gruppi di ragazzi accompagnandoci col coro “all’anime de li murt ta ta fu”.

“Tra un lamento e un altro si dava vita a questa insolita questua bussando alle porte di tutte le case del quartiere”. “Naturalmente – continua Angelo – non tutti ci aprivano ma molti ci facevano entrare nelle loro case regalandoci castagne, noci, qualche lira arrugginita e molto raramente dolcetti o un po’ di vino cotto”. Questo breve racconto è molto significativo perché troviamo nella simpatica questua dei bambini di Lancianovecchia gli elementi tipici di Halloween: la zucca (o recipiente illuminato) le anime dei morti che ritornano dall’Aldilà, la questua per le case, e il dono di cibo necessario a rifocillare le affamate anime dei morti. Volendo approfondire la questione diversi sono gli storici, gli scrittori e gli antropologi abruzzesi che nelle loro opere hanno testimoniato la straordinaria ricchezza di questi antichi riti.

Nel 1890 Gennaro Finamore raccontava come a Lanciano e nel Chietino “già dal pomeriggio della vigilia di Ognissanti sulla tavola da pranzo si mettevano pane, acqua e un lume da tenere acceso la notte per fare luce ai morti che tornano a far visita alle proprie case”. Emiliano Giancristofaro nel 1967  ci testimonia come “in quelle sere  si usava porre sulle finestre un piatto di minestra e un bicchiere di vino con un lume: è infatti credenza che i morti ritornino dalle proprie famiglie per mangiare”. Sempre Giancristofaro scrive come anche a San Vito Chietino e nelle campagne frentane: “i ragazzi girano per le strade a chiedere la anime de li murt, imbiancandosi spesso la faccia con la farina”.

Il celebre storico Domenico Priori, ci parla invece della “Comunione dei Morti”: ovvero il corteo delle anime che tornano sulla terra, spesso riconoscibile quando i cani abbaiano in modo sommesso e pietoso per non dare molestia alla processione delle ombre”.  Di esempi e racconti del genere è straordinariamente ricco il patrimonio immateriale frentano e abruzzese, strettamente legato alla celebrazione dei morti che una volta rifocillati tornavano nei propri sepolcri facendo da custodi ai semi, propiziando ricchi raccolti e abbondanza.

In conclusione abbiamo visto come Halloween ed i suoi riti legati ai morti  seppur con nomi e in forme diverse facciano parti da millenni del nostro background storico e culturale e che addirittura, la  festa dedicata a tutti i Santi fu introdotta soltanto in seguito per cristianizzare queste celebrazioni appartenenti da tempi immemorabili alle culture tradizionali precristiane europee, italiane e anche frentane. Non condanniamo quindi i nostri bambini se in questi giorni vogliono vestirsi da streghe e fantasmini, in fondo stanno portando avanti una tradizione ed un rito celebrato già dai loro avi sin dalla notte dei tempi… voi piuttosto cosa scegliete: dolcetto o scherzetto ?

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