I lettori più accaniti si sono abituati da lungo tempo a romanzi storici ambientati in quasi tutte le epoche, soprattutto in quella classica (greco-romana), medioevale e rinascimentale. Meno frequentato è sicuramente il romanzo storico etrusco, accogliamo perciò il libro di Fabrizio Cordoano, I gemelli di Caere (ed. Solfanelli, 2014), con la curiosità dovuta a un mondo in effetti meno conosciuto, ma estremamente affascinante.
La civiltà Etrusca ha avuto la peculiarità di essere apparentemente molto lontana alla nostra, eppure allo stesso tempo molto vicina alla sensibilità moderna. Era caratterizzata da un modo di vivere che potremmo considerare borghese ante litteram, per la sua attenzione verso il buon vivere, le suppellettili eleganti, gli agi e il gusto dei piaceri. Grande vicinanza ha anche la considerazione della donna a cui era consentito, diversamente dai Greci e dai Romani, l’accesso alla vita civile, con un ruolo quasi alla pari con la parte maschile.
Tuttavia, la grande protagonista della civiltà etrusca è la morte: gli Etruschi le dedicarono una ineguagliabile sovrastruttura sociale, cioè un insieme di città, templi, usi e costumi irripetibili nella storia. Culto della morte che in questo romanzo è ben presente, con diversi personaggi che svolgono mansioni funerarie oppure la dispensano agli altri, come crudeli ministri di morte.
L'intreccio si svolge a Caere, una delle dodici città della Dodecapoli Etrusca; siamo al tempo di Tarquinio il Superbo, l'ultimo re di Roma, personaggio che fa parte realmente del “cast”. A Caere, Turkal è il responsabile della “città dei morti” e ha il compito di dare sepoltura onorevole ai personaggi eminenti. Avendo ricevuto il compito di costruire una sfarzosa tomba per Inconos Matuna, il più ricco commerciante di Caere, fa di suo figlio Laerthe il direttore dell’opera.
Il giovane, innamorato della bellissima Athe, chiama a collaborare per questo lavoro Zatte, l’architetto che ha appena finito di costruire il tempio di Apollo a Veio, e quindi già celebre per la sua arte. Anche Athe è chiamata a cooperare con i due, suggerendo quali siano le suppellettili di famiglia che suo padre Matuna vuole inserire nella tomba. E così i tre trascorrono giornate idilliache mentre i lavori procedono. Intanto Laerthe ed Athe si legano sempre più e possono consumare la loro passione.
Ma l'idillio si spezza. Il sommo sacerdote convoca Athe per un rito, che prevede la partecipazione di un gruppo di vergini; il rito culminerà nella scelta delle due ragazze più belle, che giaceranno con il dio Tinia, impersonato dallo stesso sommo sacerdote. Nel tentativo di soccorrerla, anche perché Athe non è più vergine, Laerthe e Zatte la raggiungono al tempio dove la fanciulla trascorre un periodo di purificazione. Laggiù scoprono che, sotto l’apparenza del rito religioso, è in atto un turpe inganno: è il Lucumone, re della città, a giacere con le ragazze, corrompendo il sacerdote per ottenere lo scambio; senza contare che le fanciulle vengono addirittura seviziate e poi uccise.
Zatte e Laerthe escogitano un piano per salvare la fanciulla, ma dovranno scontrarsi con il Lucumone e gli uomini del sommo sacerdote; saranno dunque coinvolti in violenze, corruzioni e lotte per il potere, in una trama di intrighi in cui i tre verrano segnati.
Un aiuto inaspettato arriverà quando Zatte, preso prigioniero dal Lucumone, riuscirà a fuggire in una misteriosa città nel bosco, Heramos; lì vige una specie di società matriarcale, con un gruppo di donne dedite al culto di Hera, la cui statua è posta in un misterioso santuario – è un fatto storicamente accertato che la statua di Hera sia stata fugata dall’isola di Samo dai pirati tirrenici, che la portarono in Etruria. Saranno anche le donne di Heramos, quasi delle Amazzoni, ad aiutare la città di Caere contro un attacco dei Romani.
Eppure saranno i Romani ad accogliere e aiutare i protagonisti della vicenda. La città sul Tevere, pur ancora nella sua arretratezza rispetto alla raffinata civiltà etrusca, saprà federarsi con le altre città latine per trionfare e lanciarsi nella grande avventura storica che ne farà la Città Eterna.
Diversi studiosi hanno parlato del popolo Etrusco come di una civiltà matriarcale, lunare, dunque legato alla parte sinistra dell'anima – per dirla con la psicologia del profondo – cioè alla creatività, all'arte e alla poesia. Lo scrittore Edouard Schuré accostava il popolo Etrusco, per la forte sensibilità alle forme del sacro, alle grandi civiltà aurorali, quelle dei Grandi Iniziati come Rama, Khrsna ed Ermete.
La morte serpeggia in tutto il romanzo da protagonista; è data con violenza o talvolta procurata perfino a se stessi, ma anche trasmessa, o meglio, sublimata nel culto, dunque addomesticata e resa familiare con le meravigliose tombe etrusche che sono vere e proprie dimore, scavate nella roccia e resistenti agli assalti del tempo – basti pensare alla necropoli di Cerveteri o di Tarquinia rimaste quasi intatte dopo millenni. Ma in questo immaginario c’è anche tanta superstizione, e angoscia di fronte alla morte, con la celebrazione di innumerevoli riti propiziatori, soprattutto per trarre vaticini e placare le paure verso l’ignoto.
Il tema dei gemelli compare verso la fine del libro, tema legato a un segreto del protagonista. Questo romanzo serve ad avvicinarci ad un antico popolo che ci mostra il suo volto di umanità e dolore, di amore e brutalità, di guerra e pietà, restituendoci la consapevolezza di come ci sia vicino nel comune destino di uomini.
L'autore Fabrizio Cordoano, grande appassionato di archeologia fin da ragazzo, in una recente presentazione del libro a Rocca San Giovanni, auspica il ritrovamento di una sorta di “Stele di Rosetta” etrusca che possa far luce sul duplice mistero di questa civiltà, cioè quello della sua origine ignota e della sua lingua, tutt'ora indecifrata.