LANCIANO - All’estremità del quartiere Sacca, nel punto di confluenza dei due assi maggiori sorge la chiesa di San Nicola di Bari, una tra le più antiche della città. Le fonti storiche sono tuttavia discordi circa la sua origine: nel volume “Antichità Frentane” gli storici Antinori e Romanelli affermano “di non aver potuto rinvenire, dopo lunga ricerca l’origine e la fondazione di questa chiesa parrocchiale la quale però fu certamente una delle prime edificate nel quartiere Sacca“, riportando tuttavia anche due documenti riguardanti l’eventuale esistenza di un primitivo edificio di culto di età alto-medioevale denominato San Pellegrino, sulle cui rovine sarebbe stata poi edificata San Nicola.
Secondo un altro celebre scrittore frentano Omobono Bocache la chiesa di San Nicola ebbe sicuramente origine con la ricostruzione dell’antichissima chiesa di San Pellegrino incendiata da un fulmine nel 1206. In definitiva appare assai probabile l’esistenza di un precedente edifico ecclesiastico sia per le testimonianze appena elencate sia perchè il quartiere Sacca nasce e si sviluppa attorno ad un convento di monaci quelli di San Pellegrino, cinto da mura e fortificato che anche grazie alla sua posizione geografica elevata, gestiva anche uno xenodochio per pellegrini e viandanti, che durante il Medioevo si muovevano lungo i tratturi verso la Puglia per imbarcarsi verso la Terra Santa o per recarsi verso Roma lungo le più importanti direttrici dell’epoca.
Fare oggi una sorta di “storia architettonica” del nostro monumento non è facile soprattutto perchè il luogo di culto non è costituito da un unico corpo monumentale nato da una visione unitaria di un architetto e di una maestranza ben precisa, ma si è ingrandito continuamente nel corso di sette secoli, tra rifacimenti, demolizioni e aggiunte varie. La nuova chiesa venne intitolata a San Nicola di Bari detto anche San Nicola di Myra: un religioso nativo di Patara che impegnò il proprio patrimonio familiare per aiutare i poveri e gli indigenti, diventando poi vescovo e santo. La costruzione della chiesa, almeno nel suo impianto iniziale, avvenne in un periodo di tempo relativamente breve, tra il 1206 e il 1242 mentre il rifacimento del tetto e del campanile è databile tra la fine del Trecento e la prima metà del Quattrocento. All’interno la chiesa era suddivisa in tre navate, ma alla fine del XVI secolo la copertura risultava ancora incompleta, e nel corso dei secoli è stata oggetto di svariati interventi e rifacimenti: l’odierna veste architettonica è il frutto della ristrutturazione attuata e progettata dall’architetto frentano Filippo Sargiacomo (1830-1922), uno dei principali fautori del rinnovamento urbanistico lancianese a cavallo tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento.
Sull’antica struttura medioevale si erge la torre campanaria in muratura di mattoni a faccia con gli angoli in blocchi regolari di pietra, secondo i dettami della cosiddetta architettura lancianese del XIV secolo, opera delle maestranze locali con l’influsso dei maestri comancini. Questi caratteri sono riscontrabili anche nei campanili delle chiese di San Giovanni, San Biagio e di Sant’Agostino che s’identificano tipologicamente nella pianta quadrata con un forte spessore murario e bifore trilobate in pietra lavorata. Nel 1993 durante i lavori di restauro che portarono alla luce gli affreschi, fu ispezionato il vano ipogeo allora interrato dalla grande quantità di sabbia e detriti accumulati. All’interno vennero recuperati svariati frammenti di maiolica arcaica dei secoli XIII-XIV, una moneta duecentesca e alcuni pezzi di intonaco affrescato, reperti questi che insieme ad altri si trovano attualmente esposti nel “Centro di Documentazione Museale” della chiesa. Altri lavori consolidamento della torre, hanno portato alla luce interessanti decorazioni delle pareti interne della base, databili anch'esse tra il XIII ed il XIV secolo. Questi affreschi raffiguranti la "Vera storia della Croce" sono tratti dalla Legenda Aurea scritta dal monaco domenicano Jacopo da Varagine o da Varazze, tra il 1263 ed il 1273.
La Legenda Aurea, italianizzata in Leggenda Aurea, è una collezione agiografica di vite di santi scritta in latino. L'artista ignoto, che agli inizi del secolo XIV iniziò a dipingere il ciclo pittorico nella torre della chiesa lancianese, sicuramente non conosceva a fondo la leggenda di Jacopo oppure, fortemente condizionato dall'esiguità dello spazio a sua disposizione, procedette ad una semplificazione delle vicende e, in alcune parti, le ha modificate sostanzialmente. Secondo la tradizione locale, il popolo lancianese aveva preso parte alle crociate riportando dalla Terra Santa una reliquia della Santa Croce, motivo ispiratore di questo ciclo pittorico. Una terza fascia pittorica di epoca più tarda è documentabile solo attraverso alcuni frammenti affioranti, durante i restauri del 1993, sotto le immagini seicentesche di due santi, S. Simone e S. Croce. La presenza di numerose ed ampie lacune rende difficile la lettura iconografica dell'insieme, ma nonostante tutto questi affreschi costituiscono un notevole esempio di tecnica pittorica per il sapiente uso dell'accostamento cromatico unito alla straordinaria capacità di sintesi nella rappresentazione delle storie alle quali si ispirano.
Di particolare intensità espressiva è la scena del “Supplizio dell'Ebreo” dove si può cogliere nei visi dei personaggi una vivace e popolare espressività. Non è un caso poi che questa storia di Ebrei sia stata rappresentata proprio nella Giudecca del quartiere Sacca; ed è ipotizzabile coglierci la volontà di sottolineare il legame storico che legava quel popolo alla Città nella quale avevano trovato accoglienza. La Legenda Aurea è scritta negli stessi anni in cui si costruisce la chiesa di San Nicola e non deve sorprendere il fatto che l'artista che affresca la cella campanaria tragga ispirazione da quel testo per così dire (per usare un eufemismo) fresco di stampa. Lanciano, città delle Fiere, era a quel tempo frequentata da una moltitudine di persone di ogni rango e mestiere provenienti da tutte le parti del mondo conosciuto.