Partecipa a Lanciano News

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

Le Molecole affettuose del Lecca Lecca

A cura della redazione
Condividi su:

Francesco Consiglio nasce l'11 aprile 1965 a Realmonte (AG) ma da diversi anni ci onora della sua presenza a Lanciano sua città d'adozione che gli ha dato l'amore e una bellissima figlia. Scrittore e drammaturgo, esordisce nel 1989 con "Alone", una vicenda d'incesto e matricidio messa in scena dalla Zattera di Babele di Carlo Quartucci nel settembre 1989.


Tra le opere successive: "Segnali di vita", rappresentato al teatro Il cenacolo di Roma, e "Riassunto delle afflizioni e delle pene", tratto dall'Apocalisse di Giovanni e messo in scena al cine-teatro Il Grauco di Roma.


Dopo vent'anni di assenza, durante i quali lavora presso un'agenzia fotografica e pubblica su importanti quotidiani nazionali quali "Espresso", "Panorama", "Epoca" e "L'Europeo", Francesco si ripresenta sulla scena teatrale con il Delitto all'università, che debutta il 14 ottobre 2004 al Teatro Ariberto di Milano, per la regia di Roberto Brivio.


Con il testo della canzone "Il matto Campana", ispirata all'autore dei "Canti Orfici", è uno dei vincitori del premio Lunezia 2004 - Conferimento al valore letterario dei testi delle canzoni.


Nel 2006 Francesco Consiglio collabora con il mensile Focus, scrivendo vari articoli di carattere storico; sempre nel 2006 escono due suoi libri: "Valentino va veloce", una favola illustrata, e "I Botolini", biografia per immagini di un'importante azienda abruzzese.


Nel 2007, presso la Sala Foyer del teatro Fenaroli, a Lanciano, ha luogo l'esposizione "Le Nuove Mostre - crimini contro l'arte 2006 2007", una mostra personale di sue opere digitali.


Nel 2008 scrive un musical con il compositore Fulvio Muzio. L'anno successivo (2009) l'antologia erotica "I love porn" pubblica tre suoi brevi racconti d'ispirazione siciliana.


Nel 2010 pubblica il romanzo "Qualunque titolo va bene", edito da Iacobelli (Roma), che colpisce per essere davvero fuori canone: un po' metaromanzo, un po' autobiografia è un giallo in cui si snoda l'esilarante, a volte dolorosa, riflessione dell'autore/protagonista Franco Lamaiola.

La sua ultima fatica letteraria è dei mesi scorsi e gia il titoli incuriosisce il lettore "Le molecole affettuose del lecca lecca". L'autore ha voluto fare un regalo a Lancianonews concedendoci la bella e mai banale prefazione al suo testo di Dario Buzzolan, scrittore ed autore televisivo  attualmente ècapo autore del programma Agorà, in onda su Rai3.                                                                                                                                                                                                

Le molecole niente affatto affettuose del lecca lecca                                                                                                                                                                                                    "Non ho mai incontrato di persona Francesco Consiglio. Non gli ho neppure mai parlato al telefono. Lo conosco solo attraverso cose scritte. Condizione ideale.
Le prime cose scritte che ho letto di Francesco erano dei post su Facebook. I suoi post erano, per lo più, incazzati con il mondo. Polemizzava con molti (non con tutti: con molti), e a un certo punto ha polemizzato pure con me. E io con lui, perché mica sono uno che si tira indietro.
Se la prendeva con l’universo mondo letterario: con gli editori che pubblicano di tutto tranne i libri degli scrittori, con gli scrittori fighetti, con i recensori azzerbinati agli scrittori fighetti, con gli editori azzerbinati ai recensori azzerbinati agli scrittori fighetti. E così via, tipo Fiera dell’Est.
I post di Francesco erano irritanti. Una delle cose più irritanti era che sovente, anzi molto sovente, aveva ragione.
Solo che, istintivamente, ti veniva da dirgli:
primo: stai facendo tutto quello che serve per inimicarti tutti coloro che un giorno potrebbero pubblicarti un libro;
secondo: visto che te la prendi con larga parte del mondo e meni colpi come un fabbro a destra e a manca, ora voglio proprio vedere come scrivi.
Detto fatto. Ho inserito entrambe le cose in un commento e lui, in tutta risposta, mi ha mandato il suo libro, una cosa che si chiamava Qualunque titolo va bene.
Ok, dico. Leggiamolo, dico, il postatore incazzato.
Ho cominciato a leggere la prima pagina e non mi sono fermato più. Fino all’ultima.
Gli ho scritto: «Oh, ho cominciato a leggere la prima pagina del tuo libro e non mi sono fermato più. Fino all’ultima. Voglio dire, mi è piaciuto.»
Lui mi ha chiesto perché allora non lo recensivo.
Io gli ho detto che non lo recensivo perché non recensisco libri, non mi piacciono gli scrittori che recensiscono libri, almeno non più di quanto mi piacciano i calciatori che si mettono a fare gli arbitri.
E lui: be’, recensiscimelo lo stesso.
Ho detto, ok. E mi sono messo a scrivere. Ma la recensione non usciva, perché c’erano troppe cose, troppe impressioni, troppi sentimenti contrapposti che mi venivano da quel romanzo.
Così ho scritto un dialogo. C’erano tre tizi, un critico, un editore e un lettore, che parlavano del libro di Francesco. Sembrava una barzelletta: «Ci sono un critico, un editore e un lettore…» eccetera.
E qui veniamo al libro di adesso. Quello che state per leggere.
Che è stato fondamentale.
Perché quando ho letto Le molecole affettuose del lecca lecca, finalmente, ho capito tutto.
Quello che avevo intuito confusamente, nebulosamente nel precedente romanzo, qui l’ho capito al di là di ogni ragionevole dubbio.
Voglio dire, ho capito anche quei post. Non è Consiglio a essere incazzato (magari sì, qualche volta, legittimamente, ma non è questo il punto); è la sua scrittura a essere incazzata. Fateci caso: ansima. Non però come uno stanco, spompato; bensì come uno che non molla, che sta spendendo tutto se stesso. La scrittura di Consiglio ci mette tutta se stessa.
Non basta scrivere una parola una volta. Bisogna ripeterla, insistere, perché la scrittura si sviscera, si spende, si estenua, ci dà dentro come un fabbro, appunto.

Del tipo:

“E poi c’è un’altra cosa che ricordo: in tutto il tempo che sono stato con Silvia, non le ho mai mentito. Anzi, di più: in tutta la mia vita non ho mai mentito. Credete stia mentendo? In tutta la mia vita non ho mai mentito. E quando ho detto a Silvia che l’amavo, non mentivo. Solo che una tale enormità nelle mie labbra, una tale enormità nelle mie labbra riservate, una tale enormità voleva dire, anche dire: ho un disperato bisogno della tua compagnia…”

Eccetera.
Tanto per intenderci.
Dai e dai, la scrittura di Consiglio – incazzata – con il suo modo di prendere a capocciate il muro ancora e ancora, si fa musica. Ritmo.
Quindi ti entra dentro come una cosa naturale, che pompa come il sangue o va e viene come il respiro, insomma fluisce.
Per questo, per esempio, riesce a raggiungere quello che, credo, è l’io narrante ideale: ovvero l’io narrante che non ti spinge neanche per un secondo a porti quella domanda oziosa e spesso molesta: ma sarà realmente accaduto? Quanto ci sarà di autobiografico?
(Certo, andando avanti a leggere la risposta te la dà il plot; ma è una conclusione induttiva, io sto parlando di una consapevolezza di tipo sostanziale, che ti coglie fin dalla prima pagina.)
No, non te lo domandi se le cose che l’io di Consiglio racconta siano reali o (anche solo in minima parte) autobiografiche: semplicemente perché sono molto di più. Sono vere.
Ecco com’è la sua scrittura. Incazzata, dunque per definizione vera. Non indignata, per carità. Né intensa, né tesa o sincopata. Nessuno di questi aggettivi da recensione di cortesia. No, siamo molto a monte di qualunque mediazione. Incazzata: come il mare quando è incazzato ed è così e non puoi farci niente, solo guardarlo – e anche un po’ guardartene.
Così può permettersi, la scrittura di Consiglio, di slittare progressivamente e con disinvoltura dall’ironia all’incubo, anzi all’Incubo. Di distruggere l’io narrante (anzi, l’Io tout court) quando colui che racconta ammetterà serenamente di essere l’ultimo a sapere, a scoprire l’essenziale di ciò che lo riguarda.
E così la scrittura di Consiglio può permettersi, anche, di mettere in dubbio, nel mondo reale, il fondamento stesso che la anima, l’incazzatura, perché

“tutto ciò che accade è privo di fondamento e di sostanza, e quando siamo infelici e marchiati dai nostri fallimenti, non abbiamo il diritto di incazzarci con Dio, o con gli altri, o col destino, e neppure con noi stessi, perché trovare dei colpevoli presuppone una possibilità di cambiamento, una svolta consapevole che non è mai possibile, mai, mai.”

Mai, mai. La scrittura di Consiglio è fuoco e fiamme; ma osserva il mondo, da ultimo, con quella che Caproni chiamava “la disperazione calma, senza sgomento”. Al contrario di certi melò alla Sirk, che mettevano in scena un mondo magmatico in forma raggelata, questo libro trasforma in scrittura magmatica un mondo ormai raggelato (e raggelante).

Vorre dire di più ma per sapere di più bisogna leggerle, queste Molecole affettuose del lecca lecca; perché il libro è anche – a suo modo – un giallo, o comunque contiene al centro del viluppo un mistero. E dunque si legge con piacere; il piacere che solo i libri sanno dare quando fanno il loro mestiere, cioè – in qualche modo, in qualche misura, almeno un poco – cambiarti."

 

Condividi su:

Seguici su Facebook