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A sinistra della Gioconda

Polidoro da Lanciano

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 Polidoro di Renzo nasce a Lanciano nel 1515. E’ figlio d’arte: suo padre mastro Renzo possedeva una nota bottega di ‘pignataio’ nel quartiere di Lanciano vecchia, sino a quando si trasferì a Castelli. Lì portò la sua arte e vi fondò una scuola da cui uscirono i Pompei, cioè Tito, Orazio il Vecchio e Orazio il Giovane, quest’ultimo artista di gran valore. Polidoro di Mastro Renzo , noto con lo pseudonimo di Polidoro da Lanciano, emigrò anch’egli giovanissimo, ma nella Venezia di Tiziano, Tintoretto e Veronese; lì operò dal 1530, facendosi un nome tra i tanti artisti dediti all’arte sacra, e sino alla morte sopraggiunta nel 1565. Ma l’artista abruzzese oltre ad essere allievo del Vecelio fu anche compagno di strada di Schiavone, di Bassano, di Sustris, dedicandosi all’abbellimento dei soffitti delle case degli aristocratici veneziani, come testimoniano i due tondi conservati nel museo di Capodimonte e raffiguranti l’”Olimpo” e il “Convito degli Dei”. In Abruzzo c’è una sola sua opera: la tela “San Nicola”. Inizialmente il prestigioso dipinto era conservato nella chiesa di San Nicola (XVsec.) che rappresenta uno degli edifici religiosi più antichi di Lanciano situato nel quartiere Sacca, verso il mare. Nel 1945 è stato portato, per restauri, alla Soprintendenza dell’Aquila, e qui è stato per molti decenni. Oggi è finalmente possibile ammirarlo Museo Diocesano ospitato nel Palazzo Arcivescovile di Lanciano.

 

“Le stelle non cambiano di colore come non cambia la vostra anima in altri continenti in voi che siete vivi giocano le tradizioni che non si spengono mai”. Versi di Alda Merini ritrovati nella memoria mentre al museo del Louvre di Parigi contemplavo una tela di un artista che, in un tempo che non è il mio, è stato figlio delle mie stesse tradizioni, della mia stessa gente. “Il riposo della Sacra Famiglia con l’infante Giovanni Battista”, attribuito per molto tempo a Tiziano è, infatti, un tipico lavoro di Polidoro di Renzo, figlio di mastro Renzo, un importante maiolicaro che diede lustro all’arte della ceramica a Castelli dove si dice sia stato chiamato dalla famiglia Orsini, feudataria di quei luoghi. Questo pittore del primo ‘500 maggiormente noto con lo pseudonimo di Polidoro da Lanciano, fece parte di quell’importante scuola veneta capitanata proprio dal Vecellio. Potre parlarne a lungo, dilungarmi sul fatto che la sua attività non si estinse nel dipingere Madonne e Santi, rilevando il suo impegno ad ornare, come il Tntoretto, le case degli aristocratici più in vista con soffitti lignei intagliati e arricchiti da tondi come l’”Olimpo” e il “Convitto degli Dei” oggi al museo di Capodimonte, ma la sua vita e le sue opere sono state ampiamente e meglio ricostruite nei testi di storici e critici d’arte. Il mio vuole essere piuttosto un tentativo di raggiungere le emozioni di quanti come me hanno ammirato questo poco noto dipinto situato a sinistra della ben più nota Gioconda e di quelle di coloro che lo scopriranno in futuro; un tentativo di tradurre in parole la sottile sensazione percepita nell’osservare il piccolo San Giovanni con l’agnello che, animato da colori che ne fanno carne viva, smette di restare sospeso nel tempo e approda alle sponde della nostra realtà quotidiana per riportare, nel flusso dei ricordi, quell’ora nona di quel venerdi, troppo spesso dimenticato, con la speranza di rendere consapevole ognuno di noi, di essere null’altro che uno degli infiniti raggi di un unico Sole e liberarci da quell’angoscia , da quell’urlo infinito che Munch ha condensato nell’opera più emblematica della modernità.

 di Giuseppe Mosca

 

terraecuore.net

 

 

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