Partecipa a Lanciano News

Sei già registrato? Accedi

Password dimenticata? Recuperala

"Suite 200", l'ultima notte di Ayrton Senna

Condividi su:

La casa editrice romana 66thand2nd, dopo le biografie di Marco Simoncelli e Marco Pantani, nella sua accattivante collana Vite Inaspettate, esce con il libro Suite 200 dedicato ad Ayrton Senna: ed è subito il fascino del mito.

Ayrton Senna ha avuto di diritto l'accesso alla leggenda più viva, e il suo ricordo accende l'emozione di ogni appassionato di Formula 1. L'autore, il giornalista Giorgio Terruzzi, ripercorre la vita del fuoriclasse brasiliano ricorrendo a una costruzione letteraria quanto mai plausibile, cioé immagina che Senna, nella sua ultima notte prima di morire, nella sua camera d’albergo a Castel San Pietro Terme – appunto la suite numero 200 – il 30 Aprile 1994, ripercorra con la memoria tutta la sua vita, messa a nudo sotto l'onda emotiva delle ultime vicende vissute sulla pista di Imola nei giorni del Gran Premio. Vicende crude, prima con l'incidente a Rubens Barrichello, giovane pilota protegé di Senna, e poi quello più tragico e mortale al pilota austriaco Roland Ratzenberger. Troppa emozione, troppo coinvolgimento, e l'indomani ci sarà la gara. C'è stato poi anche il freddo cinismo da parte della direzione che non ha accettato la richiesta di Senna di interrompere la gara, dopo quei due paurosi incidenti. Troppi affari in mezzo e quattrini e potere da preservare.

Il suo medico amico, Sid Watkins, da una vita in Formula Uno, dopo lo schianto di Ratzemberger, lo ha invitato a mollare tutto, prospettandogli, come hanno spesso fatto, una quasi irreale giornata passata a pescare, quasi un idillio in mezzo a quelle devastazioni di corpi e lamiere.

Ayrton quella sera vive una crisi interiore che si dilata all'intera notte come un film che lui ha già visto, ma che vuole ripercorrere come per avere il controllo su quanto accaduto, per mettere ordine dove il caos governa, per cercare di decifrare una trama in cui alla fine il disordine diventerà signore. Perché Ayrton sa che l'incidente di Barrichello non sarebbe bastato ad ammansire gli dei, si era dovuto aggiungere il povero Ratzemberger, e sente che ancora non basta, che presto toccherà a lui il sacrificio, e tuttavia sa che non si può sottrarre: ci sono cose che sappiamo di non dover fare, eppure le facciamo ugualmente. È la legge del Fato, o forse la nostra incoscienza, l'imperfezione della vita che tocca a ciascuno di noi.

Ma Ayrton non si tirerà indietro, anche se è irrequieto. Sale al piano di sopra, nella suite 300 a parlare con Ron Dennis, il capo supremo Mc Laren, assicurandogli che il giorno dopo gareggerà. Poi scende nella Hall: c'è una festa di matrimonio, così accetta di buon grado di farsi fotografare con gli sposi, ma con un brivido pensa che chissà, forse in quella foto non comparirà perchè si sente già un fantasma. Risale in camera, ma il sonno non viene. Ha bisogno di quell'ordine che possa derivargli solo dal sistemare tutta la sue esistenza come uno schedario. È sconfortato anche perchè ha ricevuto la visita di suo fratello Leonardo, che per conto della famiglia, e soprattutto del padre, ha scoperto comportamenti ambigui della sua findazata Adriana: ne è turbato, e anche offeso per l'intrusione nella sua vita di altri.

In quella notte di pensieri, ritorna con la mente a due episodi che lo hanno segnato: nel 1992 Erik Comas, andato a sbattere malamente e lui, Ayrton, che si era fermato in piena gara per andare ad accertarsi dell'accaduto; nel 1990 invece Martin Donnelly, anche lui reduce di un incidente, aveva ricevuto la visita di Senna che aveva rinunciato alle prove. In un certo senso Ayrton era attratto dal mistero, voleva sondare il confine, cosa accade quando si passa, e come sarebbe stato quando fosse toccato a lui. È tutto ineluttabile, ogni cosa è preparazione, addestramento e definizione del suo destino; tutto è scritto, e lui deve solo agire per andare oltre il suo confine. No, Ayrton non si può tirare indietro.

E poi ricorda la sua infanzia. Da bambino era come un argento vivo, pieno di bramosia di vita, di generosità verso gli altri, cercando di creare rapporti, legami, cosa difficile per la sua timida scontrosità e i suoi imbarazzi. Al primo kart che suo padre gli ha regalato, a 4 anni, afferra, con il volante, la via del suo paradiso, del suo Eden privato che lo attende. Capisce subito che sa decifrare quel mondo, controllare le sterzate, le ruote che trainano con una loro diligente ubbidienza al motore. A 8 anni, con il secondo Kart, gareggia nella sua prima corsa in cui, dopo aver tenuto testa a tutti per 35 giri, è urtato da un avversario ed esce di pista, e il padre, pur essendo colui che gli ha fatto quei regali, si comincia tardivamente a pentire; ma Ayrton ormai è preso da quel gioco serissimo, sa che non può lasciare.

La prima vittoria arriva nel 1973, con il padre che perdura nella sua ambiguità, regalando con una mano Kart sempre più potenti e con l'altra sequestrandoli. A 20 anni Senna lascia il suo caldo Brasile e va in Gran Bretagna. Laggiù, al freddo clima dei rapport umani, si fa scudo della giovane moglie Lilian, che sposa in fretta prima di partire. Ma lo aspetta un prodigio di vittorie, è campione inglese ed europeo in Formula Ford 2000, poi finalmente in Formula Uno con la Williams. I suoi nodi fisici e mentali sono sciolti da Nuno Cobra, un massaggiatore che lo prende in cura, vecchio mago che sa scendere dentro la sua fortezza interiore.

Ayrton è concentrato, fa tutto con dedizione, e nel 1985 arriva alla prima coppa del mondo in Portogallo, e poi quella in Messico dell'86, quella del riscatto dopo la sconfitta a calcio subita dal suo Brasile contro la Francia. Vince con la Renault, quasi per una strana legge di contrappasso, e all'ultimo giro prende a un tifoso lungo la pista la bandiera brasiliana. Taglia il traguardo sventolandola. È una rivincita, e il suo Brasile gli riserva l'ammirazione appassionata destinata agli eroi.

Ayrton però non riesce a vincere il suo carattere: ossessivo, tiene gli altri a distanza, pare non voglia allegria, gioia, leggerezza. Ha un fisico gracile, ma la mente è sconfinata, un guazzabuglio di pensieri, piena di paure, insicurezze, scrupoli, esitazioni, con la voglia di darsi agli altri in piena generosità, di aiutare chi ha poco o niente, ma bloccato nei gesti e capace di esprimersi solo con fugaci emozioni, ma con sintonie improvvise in una sincerità offerta come dono di sé. Ayrton è diverso. E di una sua diversità si parla: c’è la calunnia di Nelson Piquet, con le voci e i giornali che la rimandano, che lo lasciano attonito con un’amara ferita.

Sì, in fondo lui non è come gli altri: è preso solo dalla sua missione, non vuole distrazioni. Distrugge Piquet sulle piste, questa è la sua rivincita. Ragazze poche, solo quelle fisse con cui intesse rapporti stabili, dopo la moglie ci sono Xuxa, Cristine, quasi una nuova moglie, così solida ed elegante, ed infine c’è Adriana. Quello di Ayrton non è un sì deciso alla vita, la saggia per tentativi per sentire che suono ne esca, e se lui possa essere adeguato ad eseguirne la stessa melodia.

È incerto, ma riempe ogni sua insicurezza con l’ardire di un’azione perfetta, limata in ogni suo particolare. Così nascono i campioni.

Il suo unico amico nel mondo della Formula Uno è stato Bergen, che con il suo carattere allegro e le sue goliardate lo ha tratto talvolta dall’ombra. Alain Prost, invece, l’altro gigante della pista, è il suo alter ego. I due si sfidano nel tempo finchè si ritrovano insieme alla Mc Laren nel mondiale 1988. Il motore è Honda, e Senna si intende bene con i Giapponesi, loro lo capiscono. Vince su Prost, lo surclassa completamente, ed ottiene il titolo mondiale. E così la Mc Laren è tutta sua: il dissidio con Prost si acuisce, e quest’ultimo passa alla Ferrari. In seguito, Senna andrà con la Williams, dove pare che la fortuna lo assista meno.

Intanto la sua religiosità latente è stimolata dalla sorella Viviane, aderente alla Chiesa Evangelica. Legge la Bibbia, medita, prega. Gli ultimi due anni si dedica soprattutto agli affari, alle sponsorizzazioni e soprattutto alle attività filantropiche.

Passata la notte come in un testamento con se stesso, arriva la mattina della sua ultima gara, piena di anomalie e incidenti, ed Ayrton vola su quel muro dove, come una sindone, resta il segno del suo passaggio. È una distrazione di un mito, nessun talismano o amuleto è servito ad evitargli la tragedia: forse Ayrton voleva la vita e cercava la morte, e lei, docile amica, si è fatta trovare. 

Condividi su:

Seguici su Facebook