Lasciate gli oggetti personali a casa, niente borse, telefoni o fotocamere. Presentate un documento di riconoscimento all’ingresso, aspettate che il cancello dietro di voi si sia definitivamente chiuso ed è proprio in quel momento che si aprirà quello che avete di fronte. Non potete più tornare indietro, si può solo andare avanti: benvenuti alla casa circondariale di Lanciano.
Come ogni luogo “chiuso”, al riparo dai riflettori, un carcere genera spesso interesse e curiosità, sentimenti dati proprio da quell’alone di mistero in cui è avvolto. Non si possono fare né riprese, né foto. Romanzando un po’ la realtà, ci piace pensare che non sia solo per motivi di sicurezza, ma che ci sia anche una sorta di segretezza tesa a voler lasciare ancora molto all’immaginazione.
Siamo abituati a vederli nei film i penitenziari, ed a immaginare i detenuti come omoni grossi, pieni di tatuaggi e cicatrici, segni indelebili di una vita vissuta fuori dalle regole. Ma una volta varcati quei cancelli, la nostra fantasia smette di viaggiare e si scontra bruscamente con una realtà meno cinematografica e più concreta.
Nel cortile interno, colpiscono i disegni con gabbiani e frasi che inneggiano ad una forma di libertà interiore, l’unica che si può trovare dietro le sbarre. Già, le sbarre sono proprio come quelle dei film ed è attraverso quelle che si riescono ad intravedere i volti di chi quel posto lo vive tutti i giorni, di chi ne ha fatto una casa, di chi conta mesi, giorni ed ore che sono lì a separarli dalla libertà vera.
Ma andiamo oltre, oltrepassiamo quelle sbarre e ci ritroviamo nel passeggio, l’ora d’aria. È come stare in un acquario ma non si capisce bene quali siano i pesci e quali i visitatori. La curiosità è tangibile da entrambe le parti. Da un lato c’è chi non è più abituato a vedere così spesso facce nuove, e dall’altro ci siamo noi che allo stesso modo non abbiamo l’abitudine di dare un volto ad un crimine, se non in tv.
Chi ci guida, virtualmente, nel mondo carcere, è l’ispettore capo Pellegrino Gaeta, responsabile dell’ufficio servizi.
Nella casa circondariale di Lanciano, terza della Regione Abruzzo, costruita nel 1992 ed in uso dal 1994, ci sono circa 350 detenuti, tutti uomini. E si parlava di sovraffollamento già quando erano “solo” 190. Il personale invece consta di 155 addetti e questi sono invece davvero pochi. Oltre al personale di Polizia Penitenziaria, nell’istituto ci sono direttori, educatori, psicologi, assistenti sociali, operatori del Ser.T. (servizio tossicodipendenze), volontari, cappellani, mediatori culturali ed insegnanti.
Le celle, 9 metri quadri compresi i servizi, possono essere occupate anche da tre persone ciascuna.
Ci sono tre sezioni diverse: criminalità comune, alta sicurezza e familiari di collaboratori di giustizia che stanno scontando a loro volta una pena, il cosiddetto “circuito zeta”.
Il circuito della criminalità comune è quello in sovraffollamento. I detenuti sono circa 75. E non è facile tenere nella stessa cella persone con background culturali diversi, ma purtroppo ad oggi, le alternative non sono molte.
Il circuito dell’alta sicurezza ospita invece chi ha legami con la criminalità organizzata. E come ci dice l’ispettore Gaeta, in questa sezione le cose sono un po’ diverse. Se nel reparto della criminalità comune possono verificarsi maggiori episodi di insubordinazione, nella sezione alta sicurezza prevale la pax. L’obiettivo è far passare il tempo in prigione più in fretta possibile. Qui perciò non ci sono ribelli, c’è grande collaborazione con il personale e rispetto delle regole. Nessuna redenzione però, si lavora solo per avere uno sconto di pena per buona condotta.
I detenuti comuni che si distinguono per buon comportamento, nel tempo, hanno la possibilità di svolgere delle attività.
La struttura penitenziaria offre il servizio scolastico obbligatorio, per chi non l’avesse già conseguito, ed anche la possibilità di frequentare un corso di studi superiore o universitario.
Oltre a numeri e statistiche, dalla chiacchierata con l’ispettore capo Gaeta, vengono fuori importanti spunti di riflessione sulla funzione rieducativa del carcere.
L’articolo 27 della Costituzione Italiana recita infatti “le pene (…) devono tendere alla rieducazione del condannato”. La piena rieducazione, secondo l’ispettore, non può però essere pretesa dal solo carcere. Il personale infatti cerca di tirare fuori il meglio dal detenuto. Con rispetto, correttezza, dialogo e senza giudicare. Ma una volta scontata la pena, torna il semplice cittadino, e se la società civile non gli fornisce il suo sostegno, senza una rete di aiuto, non sarà così difficile tornare a delinquere.
E allora tornano in mente le parole del Gabbiano Jonathan Livingston di Richard Bach: “Il piccolo e anticonformista Gabbiano Jonathan riesce ad intravedere una nuova via da poter seguire, una via che allontana dalla banalità e dal vuoto del suo precedente stile di vita, e comprende che oltre che del cibo un gabbiano vive della luce e del calore del sole, vive del soffio del vento, delle onde spumeggianti del mare e della freschezza dell'aria.”