Mercoledì 5 febbraio, il palco del teatro Fenaroli ha ospitato Paola Gassman, straordinaria interprete di “Il balcone di Golda” di William Gibson. La regia è stata curata da Maria Rosario Omaggio e la musica è stata composta da L. Bacalov. Un monologo appassionato ed intenso che ha ritratto una delle donne più importanti del secolo scorso, Golda Meir, che si trovò a svolgere il suo mandato politico in Israele durante uno dei periodi più critici della sua storia, soprattutto a livello internazionale. La Meir iniziò la sua carriera politica negli anni venti e, qualche anno più tardi, cominciò ad impegnarsi in attività di tipo sionista, organizzando l’immigrazione illegale di ebrei dall’Europa alla Palestina durante la seconda guerra mondiale, al termine della quale si occupò prevalentemente dell’istituzionalizzazione di uno Stato di Israele in Terrasanta. A maggio del 1948 venne proclamata l’indipendenza di Israele. Il balcone di Golda racconta di due balconi, uno della sua casa a Tel Aviv, da cui vedeva le navi cariche di ebrei che, attraverso il mare Mediterraneo, tornavano da diverse parti del mondo alla loro terra promessa e l’altro riferito al soprannome dato ad un settore segreto all’interno della struttura delle armi nucleari di Dimona. Il racconto che viene fatto nell’opera di William Gibson tocca i momenti salienti della vita di Golda Meir: dalla nascita a Kiev nel 1898, all’emigrazione negli Stati Uniti e, successivamente al suo impegno in Palestina. A fare da sfondo al palcoscenico c’erano le immagini di repertorio e le foto della Meir che scorrevano su un grande pannello. Golda Meir viene ritratta come una donna-guerriero, tenace, coraggiosa e appassionata. Portata ad utilizzare prevalentemente le sue “parti maschili” senza per questo tradire quelle femminili. Un temperamento forte ereditato da sua madre, capace di fronteggiare drammatici stati di crisi politica ma anche personali conflitti interni. Una donna combattuta tra sensi di colpa verso i suoi due figli, di cui non poteva occuparsi quanto avrebbe voluto, e una ferrea volontà di perseguire l’obiettivo di istituire uno stato d’Israele. Un progetto che la costrinse anche a “sporcarsi le mani” ma, si sa, che in certe situazioni chi ha le mani pulite rischia di averle vuote. La parola che ha concluso lo spettacolo, dai toni intensi e commuoventi, è stata SHALOM che in ebraico significa pace. Un augurio a star bene e in sicurezza, che bisogna meritare.