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Pasquale Salvucci a Lanciano

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Dal 1939 al 1951 Pasquale Salvucci passò la sua infanzia a Casoli, residente in contrada Selva Piana, in una casa prossima alla stazione ferroviaria dove il padre Egidio era capo stazione. Ma dopo Ortona a Mare, paese natio, e Casoli, comune di adozione, Lanciano certamente resta l'epicentro della sua vita.

 A Lanciano, infatti, "Al 'Cesare De Titta' negli anni 1939/1943"(1), Salvucci trovò un ambiente culturale esaltante che gli offrì una robusta  formazione di base, feconda per affrontare con successo la sua prossima esperienza universitaria.

L'Istituto Magistrale comunale di Lanciano, fondato nell'anno scolastico 1937/'38 con il nome di "Cesare De Titta", per la riforma del 1940 cominciò a funzionare come corso quadriennale: una prima "classe di collegamento" (1° superiore) seguita da un corso superiore triennale.

Negli anni in cui Salvucci frequentò l'Istituto era Preside don Cesare Nanni, "un sacerdote fermissimo nella fede e dotato di quella virtù della carità che si è venuta facendo sempre più rara in un mondo sempre maggiormente dominato dalla logica brutale del profitto"(2).

Era, don Cesare, sostanzialmente "un preside democratico"(3) al quale Salvucci riconosce "il merito di aver creato un clima estremamente sereno all'interno dell'Istituto. Ci riceveva di continuo in presidenza, si informava sulle nostre difficoltà, era sempre prodigo di consigli"(4).

In questo clima di serenità, di fiducia e di stima reciproca, gli studenti avevano  fra di loro rapporti cordiali e rispettosi sia in classe che quando andavano "a giocare a biliardo nel bar di Don Cosé o a passeggiare, in primavera, verso la Iconicella che in quegli anni era tutta campagna o ci si fermava a mangiare il panino alla Pista"(5). Erano tutti figli di famiglie modeste e "Il 'Cesare De Titta', nel rigore della sua attività educativo/didattica, rispondeva in pieno, in quegli anni, al bisogno di formazione culturale di studenti quali eravamo noi, figli di gente umile"(6).

I compagni di classe che con Salvucci si abilitarono nel 1943 furono Nicolino Alleva, Giovanni Antonelli, Francesco Bartoletti, Devy Carrozza, Emidio Cagnucci, Roberto Cipollone, Claudio Cocca, Dante Cocca, Armando Consalvi, Alfonso D'Amico, Domenico D'Angelo, Domenico De Nobili, Nicola Di Campli, Ennio Di Diego, Raffaelllo  Di Giacomo, Benigno D'Orazio, Mario Fattore, Mosé Ferrari, Vincenzo Grossi, Vittorio Iacobitti, Fileno Infante, Narcisio Lega, Antonio Mancino, Verino Masciarelli, Renato Pallozzi, Luigi Veri, Ercolino Rucci, Corrado Rupa, Saverio Sala, Giuseppe Scutti, Claudio Silvestri, Giannino Staniscia, Rocco Trentini, Sigfrido Valerio, Giuseppe Volpe, Wiscardo Vulgano(7).

La presenza, poi, di un valido corpo insegnante tonificava piacevolmente ed accresceva il clima sereno dell'Istituto. La prima professoressa che Salvucci ricorda per le sue doti umane e professionali è la Mary Di Lallo. Comunque tutti gli altri: da Saverio Basciano a Nicola Colalé, da Concetta Sorge De Giorgio a Ugo Di Santo, da Don Danilo Salomone a Maria Teresa Gentile e Don Ireneo Tinari davano agli studenti il meglio di cui disponevano con attenzione, competenza, comprensione.

"Ma le colonne dell'Istituto erano senz'altro, in quegli anni, due autentici maestri: la giovanissima Maria Teresa Gentile che, nonostante l'età, già si imponeva per il prestigio e per la solidità della preparazione, e l'insigne latinista Don Ireneo Tinari"(8), due grandi maestri che hanno lasciato il segno nella memoria di Salvucci per il peso formativo del loro insegnamento.

Maria Teresa Gentile, insegnante di italiano, allieva di Natalino Sapegno, s'imponeva con le sue lezioni affascinanti per ampiezza culturale, ricchezza bibliografica, rigore metodologico, intuizioni problematiche. Riconosce e sottolinea a proposito Salvucci: "Se, agli esami scritti di ammissione all'Università nel novembre 1945, risultai il primo fra un migliaio di concorrenti, lo debbo largamente alla formazione ricevuta alla scuola dalla professoressa Gentile. Ero già in possesso di una solidissima base per affrontare ad Urbino i miei maestri di italianistica, Piero Rebora, Claudio Varese, Francesco Valli e Lanfranco Caretti"(9).

L'altra colonna dell'Istituto era certamente Don Ireneo Tinari di cui Salvucci ci lascia un ritratto commovente. "La sua era senza dubbio una intelligenza rara e rivelatrice. Come uomo era davvero straordinario. Era fra i primissimi ad arrivare a scuola la mattina dopo aver celebrato la messa mattutina. Rosaria, l'indimenticabile bidella, gli preparava lo zabaione, ed io, che venivo da Casoli in treno e che avevo avuto il permesso di entrare a scuola prima degli altri, assistevo ogni giorno alla scena che si ripeteva, aspettando che egli mi parlasse. E quando ciò accadeva, mi sentivo pervadere da una gioia intensa. Tanto alta era l'immagine che mi ero fatta di lui"(10).

Anche per il latino le lezioni di Don Ireneo, specie per l'amore che profondeva nella lettura dei classici e i commenti sintattico/grammaticali dei testi, inculcarono in Salvucci la passione per questa materia tanto che "Durante i miei studi in latino all'Università, alla scuola di un maestro della forza e dell'autorità di Alessandro Ronconi, che ci leggeva Lucrezio e che ci faceva entrare da par suo  nella ricerca e complessa problematica del verbo latino, ebbi modo di ritrovare molte delle cose che Don Ireneo ci aveva insegnato"(11).

Già l'anno dopo il diploma, insegnò subito nelle scuole elementari e si iscrisse contemporaneamente all'Università di Urbino.

Nel 1948 vinse il concorso magistrale bandito in Abruzzo ma, nel frattempo, sempre con più convinzione i suoi interessi si spostarono verso l'Università dove cominciò a lavorare con il professore Arturo Massolo, già noto per i suoi studi di interesse internazionale sull'idealismo tedesco.

Con Massolo nel 1950 si laureò con lode e dignità di stampa discutendo una tesi su Plotino, mettendo a frutto le lezioni private di greco che la giovanissima professoressa De Felice gli aveva impartito negli anni della sua frequenza a Lanciano.

Nello stesso anno della laurea, per essere più vicino al suo professore, ripeté il concorso magistrale nelle Marche, che vinse e gli fruttò il posto in una scuola pluriclasse a Palazzo del Piano, un borgo ridente fra i campi nelle Cesane di Urbino.

Un altro successo della sua carriera scolastica preaccademica arrivò nel 1953 quando vinse una delle quattro cattedre per l'insegnamento di storia e filosofia nei licei che gli consentì di avere per sede prima Ancona e poi, il sogno raggiunto!, l'Istituto Magistrale di Urbino.

Io ho conosciuto il professore Salvucci nel novembre del 1955, in occasione dell'esame di ammissione al corso di laurea in Pedagogia. Lo incontrai al Caffè Basili, bar centrale in Piazza della Repubblica dove, appena dopo cena, egli solitamente si recava.

Di questa sua abitudine mi aveva parlato il mio professore di Latino e storia alle Magistrali di Lanciano, Piero De Tommaso, che mi consegnò anche una lettera di presentazione. E così fu: puntualmente, con soprabito scuro, occhiali spessi e un sorriso smagliante Salvucci entrò nel bar: mi presentai e, letta la lettera, mi rivolse uno sguardo  molto familiare aggiungendo che avevo fatto molto bene a scegliere Urbino.

Nel 1956, non potendo frequentare durante l'anno, mi iscrissi al corso estivo per sentire soprattutto le lezioni di Storia della filosofia tenute dal professore Massolo il cui esame, dicevano, era piuttosto duro. Il tema del corso, quell'anno, era La storia della filosofia come problema(12), tema che veniva ripreso nelle lezioni di agosto.

Per la verità le lezioni del Massolo, burbero quanto estroso, erano sempre lezioni pensate al momento, concetti costruiti da un'analisi rigorosa e profonda dei testi e ricordo che spesse volte, così come era impegnato nella fatica del pensiero, chiedeva riscontro e assenso al suo assistente Salvucci che, seduto nell'ultima fila dell'aula VII ad anfiteatro, annotava accuratamente in un grosso quaderno le riflessioni del suo amato maestro.

Durante le lezioni del corso estivo dell'anno dopo, agosto 1957, Salvucci ci presentò i risultati del suo primo libro La dottrina kantiana dello schematismo trascendentale(13): una lezione affascinante, condotta con passione, che ci coinvolse nel vivo della problematica kantiana della conoscenza. Ci restituì un Kant alle prese con le domande cruciali della nostra esistenza, una ricostruzione rigorosa di un problema centrale per l'intelligenza del pensiero kantiano che convinse anche due suoi colleghi presenti: Livio Sichirollo ed Enrico Garulli che su alcuni aspetti del problema avevano espresso qualche dubbio.

Non meno brillante fu la sua successiva carriera accademica: Libero docente in Storia della filosofia (1958), Libero docente in Storia della filosofia moderna e contemporanea (1959), Primo ternato nel concorso alla cattedra di Filosofia morale bandito dall'Università di Perugia, chiamato alla cattedra di Filosofia all'Università di Urbino (1968), passò poi a quella di Storia della filosofia alla Facoltà di Magistero, Preside della Facoltà di Magistero (1974), Direttore dell'Istituto di Scienze Filosofiche e Pedagogiche, Coordinatore del Collegio per il Dottorato di ricerca in Filosofia.

Altrettanto rilevante fu la sua esperienza politica. Negli anni Sessanta, come assessore all'istruzione prima e consigliere dopo, si impegnò fattivamente con i problemi della Città facendo sempre sentire la sua voce che nel Consiglio comunale era il faro di riferimento culturale e politico.  Come ha scritto Livio Sichirollo "Sia durante le campagne elettorali sia durante i lavori del Consiglio o in manifestazioni esterne, il tono dei suoi interventi era dato dallo stile del professore: preparazione, modestia, un certo distacco, rispetto di sé, quindi, ancora un insegnamento kantiano, rispetto del pubblico"(14). Dal suo Maestro, Massolo, aveva imparato che il filosofo non può mai fuggire dal suo tempo per rinchiudersi nel perimetro della sua coscienza privata perché il suo compito è proprio quello di battersi "per la piena realizzazione di un mondo umano interamente umanizzato"(15).

Nella sua aspra polemica contro i filosofi del 'post moderno' gridò tutto il suo fastidio per "gli uomini della notte, per gli ebbri cantori della catastrofe"(16).

Dove gli altri, sperduti nell'"arcipelago" dei linguaggi, escludevano la possibilità di qualsiasi discorso universale, Salvucci rivendica la sua "fiducia nel dialogo fra gli uomini nella Città, nel dialogo nel quale si manifesta la volontà mediatrice e concettualizzante"(17).

Nel 1976 e 1983 fu eletto senatore della Repubblica, membro della Commissione Pubblica Istruzione, ma si dimise, il solo in Italia!, quando fu approvata la legge della incompatibilità, per non abbandonare l'insegnamento e i suoi studenti. Come ripeteva spesso il Rettore Carlo Bo, Salvucci "era un maestro nato" e non poteva stare lontano dai suoi allievi, senza fare lezioni, senza conversare pazientemente con i suoi laureandi.

Tuttavia a fronte delle sue ricerche, delle sue pubblicazioni(18), del suo impegno politico per il sociale c'era la sua "umanità", "semplicità", "bontà d'animo" come ebbe ancora a rilevare il "suo" Rettore all'indomani della sua scomparsa.

Tuttavia, negli anni della sua vita urbinate e con tutti gli impegni accademici e politici da onorare, tenne sempre presente i valori e la bellezza della terra d'origine. Nel vivo della cordialità dei suoi rapporti con i colleghi e con tanta gente con la quale si fermava a parlare, trovava sempre il modo di vantare la sua "abruzzesità" riferendo un aneddoto o qualche episodio singolare della sua formazione a Lanciano o qualche espressione dialettale semanticamente maliziosa che accompagnava abitualmente con una sonora risata di soddisfazione e di piacere.

L'Abruzzo con le sue tradizioni, la sua cultura, la sua storia restò sempre nel vivo del suo cuore, in tutta la sua cifra esistenziale. Ma al centro c'era Lanciano, la sua prediletta Lanciano. Vi tornò ogni anno per gli esami di maturità, presidente di commissione, passando da un liceo all'altro o all'istituto magistrale. Gli studenti durante l'anno speravano tutti di averlo nella propria scuola, certi di poter contare almeno sul Presidente, noto com'era per la sua grande cultura e la grandissima comprensione che aveva per i giovani.

Ma anche Salvucci durante l'anno godeva al pensiero di tornare d'estate a Lanciano, di ritornare dai suoi, di stare con gli amici, tanti!, di intrattenersi con loro divagando piacevolmente su qualche pettegolezzo o commentando con acume sorprendente gli accadimenti del giorno.

Si vedeva al mare, seduto su uno scoglio al Cavalluccio di Fossacesia a riflettere al sole su qualche passo di un libro che aveva sempre con sé. Sì, l'estate lancianese per Salvucci non era una sospensione intellettuale, una gratuita oziosità, ma unicamente lo stacco dal suo "travaglio usato", una parentesi piacevole che corroborava il senso di appartenenza alla sua terra natia.

                                                                                                                  

 

Note

(1) P. SALVUCCI, Al "Cesare De Titta" negli anni 1939/1943, in Istituto Magistrale Statale " Cesare de Titta"- Lanciano, nel Cinquantenario della morte di Cesare de Titta, Officine Grafiche Anxanum, Lanciano 1983, pp. 75-80. (2) Ibidem, p. 76. (3) G. NATIVIO, Cesare Nanni - Un Preside democratico, in Istituto Magistrale..., op. cit., p. 71. (4) P. SALVUCCI, Al "Cesare De Titta"..., op. cit., p. 76. (5) Ibidem, p. 80. (6) Ibidem. (7) Ibidem, p. 79. (8) Ibidem, p. 77. (9) Ibidem, p. 78. (10) Ibidem. (11) Ibidem, p. 79. (12) A. MASSOLO, La storia della filosofia come problema, Vallecchi, Firenze 1955. (13) P. SALVUCCI, La dottrina kantiana dello schematismo trascendentale, S. T. E. U., Urbino 1957. (14) L. SICHIROLLO, Ritratto in forma di intervista, in Filosofia e storia. Studi in onore di Pasquale Salvucci, QuattroVenti, Urbino 1996, p. 31. (15) P. SALVUCCI, Politicità della filosofia, Argalìa, Urbino 1978, p. 422. (16) P. SALVUCCI, Il filosofo e la storia, QuattroVenti, Urbino 1994, p. 182. (17) Ibidem, p. 276. (18) Per la Bibliografia delle opere e un Profilo di Pasquale Salvucci rimandiamo a: N. DE SANCTIS, L'idealismo tedesco nella prassi culturale e politica di Pasquale Salvucci, in Tempo e libertà, Montefeltro, Urbino 1983, pp. 163-187, poi in AA.VV., Pasquale Salvucci. L'uomo e l'opera, Atti del Convegno Urbino 20.12.1997, Franco Angeli - Irrsae Marche, Milano 1999, pp. 99-109; N. DE SANCTIS, Bibliografia di Pasquale Salvucci, in Filosofia e..., op. cit., pp. 33-46; N. DE SANCTIS, Pasquale Salvucci, in AA.-VV., Maestri di Ateneo. I docenti dell'Università di Urbino nel novecento, A G E Srl, Urbino 2013, pp. 473-475; N. DE SANCTIS, Filosofia e vita negli scritti di Pasquale Salvucci, in "Rivista Abruzzese", 2013, n. 1, pp. 22-27.

  

   

 

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