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Il racconto di una vendemmia in famiglia nel solco della tradizione

Dall'uva al buon vino, racconto di una tradizione centenaria

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È il profumo tardo, quasi stanco, degli ultimi pomodori di settembre a miscelarsi timido, nell’aria, con l’energica fragranza dolciastra dell’uva appena colta, un’invasione geometrica di colore blu che ci introduce nelle prime frescure autunnali.
È tempo di raccolta e nella grande famiglia di Berardino sono tutti alle prese con l’uva, ben tre generazioni a confronto, dai nonni Paolo e Antonia fino alla giovanissima nipote Elisa, onorando una tradizione lunga e lontana oltre un secolo.

Nell’attesa che rientrino i trattori dalla campagna sono Pina e la figlia, a raccontarmi la loro vendemmia che inizia sempre da metà settembre e si conclude dopo un mese  distinguendo “la raccolta dell’uva bianca prima, della nera poi”.
“Per poter ottenere un vino di buona qualità occorre svegliarsi la mattina presto con il primo sole” ci confida Pina “ e quando andiamo sotto i capanni ci serviamo di…” e distraendo il suo volto dai pomodori indica un punto nel cortile esortando la figlia a mostrarmi qualcosa.
Elisa infila con mano esperta una vera imbracatura che non nasconde una pesante fattura che serve ad appoggiarvi il contenitore nel quale si fanno cadere gli acini.
“Nei tendoni l’uva si raccoglie in alto, mentre con i filoni in basso “ prosegue Pina e la figlia non manca nel farmi notare quanto sia faticoso per braccia e spalle, soprattutto se, come nel suo caso, è la prima esperienza di vendemmia.
Faticoso si, ma “il bello è mangiare direttamente l’uva dalla pianta scoprendone la dolcezza, per fare lo spuntino di metà mattinata” e mentre la sua espressione non nasconde quel gustoso ricordo ecco che rientrano i trattori carichi di acini e sembra una pennellata di vernice in una mattinata che si rivela sempre più grigia.
Immediatamente scende Berardino che assieme ai suoi collaboratori attrezza la “pigiatrice e deraspatrice” per pulire l’uva e attraverso un tubo fa scivolare il contenuto entro enormi contenitori.

Tutti sembrano giocare e lottare con il tempo, ciascuno con il suo compito, ed in pochi minuti il cortile di Caniloro, che fino a quel momento aveva accolto il tranquillo riposo dei due cani e di qualche gatto, entra in fermento, creando una visibile analogia con i successivi processi di fermentazione del vino, è la campagna a dettare i tempi.
L’odore sprigionato è intenso e alla fine tutti vi cediamo assaggiando qualche acino prima che diventi un buon cerasuolo.
“Nei contenitori finiscono mosto e buccia” ci spiega il signor Paolo, padre di Berardino, “si passa poi al torchio” e già il nome mi suggerisce un lavoro manuale ed impegnativo“ infine resta tutta la notte nella cella frigorifera per poi essere portato nelle botti dove inizia la fermentazione, che deve però essere lenta e controllata mediante damigiane di acqua ghiacciata per far scendere temperatura e zuccheri”.
Per assaggiare il vino usanza vuole che si debba aspettare il giorno di San Martino ma Elisa non disdegna neanche del mosto, un vero succo dal sapore zuccherino, un piacere genuino che posso solo intuire dalle sue parole.

Lasciando un attimo da parte gli uomini alle prese con l’uva incontro la signora Antonia, la mamma di Berardino, colonna portante della famiglia, mentre si sfila le scarpette da tennis per indossare le più comode ciabatte, al termine di una faticosa mattinata in campagna.
Il suo viso è dolce, il sorriso stanco ma sincero e i lineamenti morbidi non tradiscono un’evidente antica bellezza appena in contrasto con le mani indurite da anni di lavoro nei campi.

Non si sottrae ad alcuna fatica la signora Antonia e prima che fugga per tornare alle faccende di casa le rubo la ricetta della sua marmellata d’uva, che prima era solita fare in questo periodo quando si riunivano le famiglie e ci si spartiva cibo, stanchezza e speranza.

Ai miei tempi era più una festa che un lavoro e ricordo ancora quando l’uva si pigiava con i piedi e bimbi si divertivano” racconta il signor Paolo aggrottando la fronte e descrivendo così sul volto una rassegnata nostalgia.
È trascorsa più di un’ora, è quasi pranzo, eppure sono ancora tutti alle prese con i propri impegni, l’uva continua a passare nel deraspatore e i pomodori nell’angolo proseguono la bollitura, qualcuno approfitta e ruba gli acini dal trattore, persino i cani sembrano impegnati a seguire i lavori e mentre mi allontano si delinea sempre di più una cornice familiare, un laborioso vitigno di esperienze e generazioni e sembra quasi che la tradizione viva lì, in quel chiostro, in una fresca mattina dei primi di autunno, durante l’ennesima vendemmia.

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